APM – Archeologia Postmedievale, 21, 2017

· All’Insegna del Giglio
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Questo numero di “Archeologia Postmedievale” si apre con il saggio Combattere a Leptis Magna: archeologia della Guerra di Libia II. Nuove ricognizioni archeologiche (2013) e ricerche d’archivio, di Massimiliano Munzi, Fabrizio Felici e Andrea Zocchi. Questo contributo di Conflict Archaeology ci porta a leggere i risultati di una nuova campagna di ricerca, realizzata nel 2013 in una Libia profondamente modificata dopo che, nell’Ottobre del 2011 e in quadro di aspra guerra civile, Muammar Gheddafi venne catturato e ucciso. Prima della nuova grave emergenza, rappresentata dall’avanzata dell’Isis nel nord della Libia, dalla presa di Sirte divenuta per un breve periodo capitale dello Stato islamico (2015-2016), dai successivi scontri a Bengasi e a Derna, la pausa dello stato di belligeranza verificatasi in Libia nel 2013 ha permesso agli autori di riprendere le ricerche, mirandole su temi specifici, quali i forti italiani di difesa di Khoms, importante centro strategico nella conquista italiana della Libia (1911-1912), con lo studio dei campi di battaglia del conflitto italo-turco e con un importante incremento che ha portato a 454 i siti documentati. Il saggio di Roberto Sconfienza rappresenta un importante approfondimento sul tema dell’architettura militare del Ducato di Savoia nel XVI secolo, delle fortificazioni rinascimentali e delle tecniche di costruzione della struttura del bastione, con il caso studio di Chivasso e del Bastione di Santa Chiara. Innovativi dati sul paesaggio agrario e sull’alimentazione provengono dal centro storico di Corato (Bari), dove il riempimento di un silos, ricco di resti archeobotanici, è stato oggetto di uno studio interdisciplinare, guidato da Girolamo Fiorentino per la parte bioarcheologica, sulla base di una campionatura di quasi 5000 macroresti vegetali. Un inedito e innovativo contributo di Etnoarcheologia è dedicato infine ai villaggi Sherpa di alta quota (fra 4000 e 5000 m) nel nord del Nepal, ormai abbandonati da decenni per il peggioramento delle condizioni climatiche verificatosi negli anni Sessanta-Settanta del Novecento e che non ha più permesso a queste quote la pratica dell’alpeggio, come tradizionalmente avveniva. L’indagine si colloca in un’area indubbiamente estrema del Pianeta, considerata “selvaggia”, al centro di progetti multidisciplinari internazionali e allarga in modo significativo la prospettiva geografica e temporale dei villaggi abbandonati, restituendo alle fonti orali una posizione centrale nel sistema interpretativo, tra etnoarcheologia e antropologia culturale.

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