Dall’insediamento di Giorgia Meloni, alla fine del 2022, una politica culturale di destra degna di questo nome non si è ancora vista. Del resto il bacino da cui attingere, nota lo scrittore e giornalista Alberto Mattioli, «è quello che è»: non c’è proprio l’imbarazzo della scelta; piuttosto, sono le scelte a suscitare imbarazzo. Tra i (mis)fatti di cronaca che hanno finora scandito l’operato del governo in carica alcuni sono memorabili, dalle nomine ai vertici delle istituzioni fino alle gaffe di alcuni nomi illustri. Uno su tutti, il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, che nelle vesti di giurato al Premio Strega candidamente dichiarò di non aver letto nessuno dei libri in lizza; ma anche Vittorio Sgarbi, la cui presenza «inarrestabile, invadente, inevitabile» cerca di colmare, in modo spesso inopportuno, i vuoti nelle file degli intellettuali «di area». Destra maldestra è un’attenta, irriverente ricognizione di un panorama desolato e desolante, da cui emerge come il governo Meloni, dimostrandosi incapace di comprendere i meccanismi della cultura, stia sbagliando tutto. Tra rivelazioni e indiscrezioni, il verdetto di Mattioli è infatti impietoso: «Questa destra così identitaria ha un problema di identità: la sua».
ALBERTO MATTIOLI, giornalista professionista, scrive per «La Stampa», «Il Foglio», «Quotidiano Nazionale», i giornali del Nord-Est e «Amadeus». Esperto di teatro musicale, ha scritto saggi, tenuto conferenze e lavorato come Dramaturg per molti teatri e festival italiani e internazionali. Ha scritto sei libretti d’opera. Con Garzanti ha pubblicato Meno grigi più Verdi, Il gattolico praticante, Pazzo per l’opera, Un italiano a Parigi, Elisabetta. La Regina infinita (con Marco Ubezio) e Gran Teatro Italia.Foto © Francesco Rinaldi