Scrivere un libro su Sigmund Freud, che sia alla scrivania di casa, su un treno in corsa o nel silenzio ovattato di una biblioteca universitaria, circondati da pile di volumi e trattati sull’argomento, è già di per sé un’impresa titanica, affascinante e complessa, intellettualmente vertiginosa. Ma cominciare a scriverlo, o almeno tentare di farlo, dal tavolino della camera n. 15 dell’Hotel du Lac di Lavarone – la preferita da Freud stesso – è un’esperienza che si carica di un coinvolgimento psicoanalitico inevitabile. Ci si scopre al tempo stesso nudi e vestiti, sospesi in quella condizione liminale che lo stesso Freud definì come “essere ovunque e in nessun luogo”.