Per Savinio, lâinfanzia non è un tempo ma un ÂĢtempioÂģ, cioè un luogo, una dimensione dello spirito. Un luogo, anzitutto, fisico e geografico: la Grecia dâinizio secolo, dalla luminosità abbagliante e quasi sgomentante, in cui scintillano ricordi come la nave ÂĢAndromedaÂģ coi suoi ÂĢÚluli prepotentiÂģ, il teatro Lanarà col suo odore di alghe e segatura, la città â ÂĢveduta in sognoÂģ â della villeggiatura, ma soprattutto la cresta prepotente del Pelio che si erge di fronte alla finestra della ÂĢcamera dei giochiÂģ. E un luogo, inoltre, metafisico e doloroso, in cui la mente del bambino da un lato vede e percepisce cose interdette a quella dellâadulto (il ÂĢpotere stregonescoÂģ della zanzariera, gli ÂĢocchi infocati dei ranocchi e dei cipressi semoventiÂģ, lâincanto fiabesco del tappeto della camera istoriato di leocorni) e dallâaltro sente irrompere domande estreme che potranno in seguito essere sedate ma non risolte: come quando un passero ferito â che il piccolo Savinio salverà e adotterà col nome di Leonida â rivela sotto il batuffolo di piume il ÂĢcentro di un vuoto allucinanteÂģ. Scritto nei primi anni Venti ma apparso a stampa nel 1937, ÂĢTragedia dellâinfanziaÂģ viene qui riproposto insieme alla sua seconda parte inedita e incompiuta â di recente affiorata tra le carte dellâautore â, dove si narra il mitologico viaggio svolto ÂĢsul dorso del CentauroÂģ alla ricerca dellâOrsa, la misteriosa figura che si leva minacciosa e irresistibile sulla cresta del monte Pelio: un viaggio che segnerà la fine dellâinfanzia e lâavvio di un nuovo destino.